La Consulenza filosofica è approdata in Israele nel 1989 con la fondazione del Center Sophon, diretto da Shlomit Schuster che, dopo aver conosciuto Ad Hoogendijk in Olanda, decise di intraprendere l’attività consulenziale nel suo Paese.
Il centro Sophon, tra le varie attività, offre anche un servizio telefonico gratuito di primo-aiuto per problemi esistenziali e dilemmi etici. Oltre alla Schuster, anche Avshalom Adam, Lydia Amir, Ora Gruengard, Louis N. Sandowsky, Adva Shaviv, Israel Shorek e altri hanno aperto degli studi di Consulenza filosofica in Israele.
La concezione della Consulenza filosofica di Shlomit Schuster può essere identificata come “achenbachiana"; del resto, già il fatto che la consulente israeliana ami denominare la sua attività come Pratica filosofica [Philosophy practice] sta a indicare la sua intenzione di porsi in un rapporto di fedele continuità rispetto alla tedesca Philosophische Praxis .
Essa stessa comunque non rinuncia in assoluto ad utilizzare il più circoscritto termine “counseling”, in quanto, come ricorda, “ha la sua origine etimologica nel significato letterale, neutro, di ‘dare consigli’”.
Schuster riprende da Achenbach, ampliandola, anche la critica ai trattamenti psicologici e psicoterapeutici, soprattutto in riferimento alla loro potente influenza sulla società e sulle modalità d’intendere il concetto di malattia nei singoli individui.
Lei stessa riferisce di come, in alcuni dei suoi casi di consulenza, abbia dovuto partire proprio da una preliminare opera di “depsicoanalisi” e di “dediagnosi”: può capitare infatti che alcuni consultanti pensino se stessi esclusivamente secondo le fisse categorie medico-diagnostiche (ad esempio, possono ritenere di soffrire di determinati “complessi”, di essere affetti da “ansia di prestazione” piuttosto che da disturbi maniaco-depressivi). L’opera di dediagnosi praticata dalla Schuster non è altro che un’opera di ridimensionamento critico di ciò che il consultante considera come la sua realtà psicologica.
E così, ad esempio, spogliare il mito di Edipo dalla sua interpretazione freudiana per far vedere quello che, in fin dei conti è, ossia “semplicemente un mito”, può portare a un benefico “effetto liberatorio” in chi ha sempre interpretato i suoi rapporti con il padre secondo la visione psicoanalitica.
Un’altra figura particolarmente di spicco a livello internazionale tra i consulenti israeliani è sicuramente quella di Ran Lahav, la cui attività consulenziale ebbe inizio nel 1992.
Uno dei primi fattori che caratterizza Lahav, come ben nota lo studioso di pratiche filosofiche Davide Miccione, sono l' equilibrio e la coerenza di pensiero.
Inoltre, il fatto che Lahav sia laureato in psicologia e in filosofia fa sì che la sua riflessione critica in merito al confronto tra approccio della Consulenza filosofica e approccio psicologico sia particolarmente approfondita e degna di considerazione.
Per Lahav, uno degli elementi centrali della Consulenza filosofica è il principio dell’ interpretazione della visione del mondo del consultante: tale visione non è da intendersi come qualcosa che è nella mente della persona o che influenza direttamente gli eventi concreti. Essa piuttosto, “è uno schema astratto che interpreta la struttura e le implicazioni filosofiche della concezione che un individuo ha di se stesso e della realtà” .
Secondo Lahav, tutte le persone “interpretano costantemente il loro mondo, non semplicemente attraverso credenze e pensieri, ma attraverso il loro ‘intero modo di essere’, attraverso il loro esprimere ‘una certa comprensione della natura del sè, di quello che è importante, morale, bello, di quello che sono l’amore, l’amicizia, il coraggio e così via” . Nei suoi ultimi scritti e articoli, Lahav sottolinea la necessità di operare un ripensamento critico nella pratica della Consulenza filosofica. Se, infatti, la consulenza vuole essere filosofica non solo di nome ma anche di fatto deve essere in grado di rinunciare ad ogni ruolo accomodante: invece di “adattarsi alla domanda di mercato”, di fornire cioè risposte e soluzioni ad hoc ai problemi della gente, deve fare quasi l’esatto opposto. Ossia “suscitare l’insoddisfazione intellettuale ed esistenziale […]. Evocare perplessità e timore […]; incoraggiare un approccio all’infinita complessità e ricchezza della vita” . Secondo Lahav, la filosofia deve fungere da coscienza critica della società, e non certo da “ennesima rotella dell’ingranaggio sociale” ; del resto, se così fosse, il consulente filosofico, in quanto “fornitore di beni”, non sarebbe molto dissimile dallo psicoterapeuta o da un qualsiasi “intrattenitore che mira ad appagare la voglia di divertirsi, o come lo spacciatore di droga che vende pillole ‘ansiolitiche’ per far sentire meglio la gente, o il chirurgo plastico che cambia i nasi delle persone per soddisfare un certo narcisismo, o ancora il mobiliere che vende pezzi d’arredamento per venire incontro alle esigenze di comfort”.
Per Lahav la svolta della Consulenza filosofica potrebbe essere in direzione di una concezione platonica, ossia verso una “filosofia contemplativa”: "la pratica filosofica, il filosofare, è connessa al nostro intero essere. Essa risveglia in noi quel desiderio di andare oltre, verso un livello più profondo delle nostre cose quotidiane. Verso un qualche tipo di trasformazione che ci aprirà a un mondo più grande fuori della caverna o, se preferite, alla luce” .
Un’altra consulente israeliana, molto nota a livello internazionale, è Ora Gruengard.
Per la Gruengard la consulenza filosofica assolve al suo ruolo quando si pone come filosofia critica. Il consulente è da intendersi dunque come un filosofo critico e anti-dogmatico in grado “di lasciare spazio alla perplessità o, perfino, all’inspiegabile, all’indeterminato, all’impredicabile” . Ma questo è possibile solo rinunciando alla pretesa del sapere e a quella dose di certezza garantita dalla conoscenza esatta per far posto all’accettazione della propria fallibilità. In questo senso, il consulente filosofico eredita da Socrate non solo la coscienza di non sapere ma anche l’accettazione di questo non sapere. Come la stessa Gruengard ha ricordato nel suo intervento alla Sesta Conferenza Internazionale sulle Pratiche Filosofiche tenutasi ad Oslo nel luglio 2001: “Socrate era un ignorante come tanti altri, ma l’unico che pensasse di essere tale. Noi dovremmo prendere seriamente il suo coraggio di tollerare l’ignoranza. Non che egli non sperasse di imbattersi in qualche solida verità, ma impiegò piuttosto la sua vita in una lotta critica contro false credenze ed ingiustificati diritti nei confronti del sapere. Ciò dovrebbe illuminare ogni counseling filosofico che si riconosce come effettivamente critico. Così, lo stesso consulente filosofico ‘critico’ dovrebbe forse dotarsi di un termine più adeguato, e sicuramente più modesto, per indicare sé stesso e la propria attività” . In poche parole, se si dovesse trovare un motto per il consulente filosofico critico, questo motto sarebbe: “non è necessariamente così”, ossia non è detto che A sia sempre diverso da B o che quello che si crede sia la verità, lo sia a tutti gli effetti.
Da "La Consulenza filosofica: storia e modelli", Maria Devigili, Trento, 2007
Il centro Sophon, tra le varie attività, offre anche un servizio telefonico gratuito di primo-aiuto per problemi esistenziali e dilemmi etici. Oltre alla Schuster, anche Avshalom Adam, Lydia Amir, Ora Gruengard, Louis N. Sandowsky, Adva Shaviv, Israel Shorek e altri hanno aperto degli studi di Consulenza filosofica in Israele.
La concezione della Consulenza filosofica di Shlomit Schuster può essere identificata come “achenbachiana"; del resto, già il fatto che la consulente israeliana ami denominare la sua attività come Pratica filosofica [Philosophy practice] sta a indicare la sua intenzione di porsi in un rapporto di fedele continuità rispetto alla tedesca Philosophische Praxis .
Essa stessa comunque non rinuncia in assoluto ad utilizzare il più circoscritto termine “counseling”, in quanto, come ricorda, “ha la sua origine etimologica nel significato letterale, neutro, di ‘dare consigli’”.
Schuster riprende da Achenbach, ampliandola, anche la critica ai trattamenti psicologici e psicoterapeutici, soprattutto in riferimento alla loro potente influenza sulla società e sulle modalità d’intendere il concetto di malattia nei singoli individui.
Lei stessa riferisce di come, in alcuni dei suoi casi di consulenza, abbia dovuto partire proprio da una preliminare opera di “depsicoanalisi” e di “dediagnosi”: può capitare infatti che alcuni consultanti pensino se stessi esclusivamente secondo le fisse categorie medico-diagnostiche (ad esempio, possono ritenere di soffrire di determinati “complessi”, di essere affetti da “ansia di prestazione” piuttosto che da disturbi maniaco-depressivi). L’opera di dediagnosi praticata dalla Schuster non è altro che un’opera di ridimensionamento critico di ciò che il consultante considera come la sua realtà psicologica.
E così, ad esempio, spogliare il mito di Edipo dalla sua interpretazione freudiana per far vedere quello che, in fin dei conti è, ossia “semplicemente un mito”, può portare a un benefico “effetto liberatorio” in chi ha sempre interpretato i suoi rapporti con il padre secondo la visione psicoanalitica.
Un’altra figura particolarmente di spicco a livello internazionale tra i consulenti israeliani è sicuramente quella di Ran Lahav, la cui attività consulenziale ebbe inizio nel 1992.
Uno dei primi fattori che caratterizza Lahav, come ben nota lo studioso di pratiche filosofiche Davide Miccione, sono l' equilibrio e la coerenza di pensiero.
Inoltre, il fatto che Lahav sia laureato in psicologia e in filosofia fa sì che la sua riflessione critica in merito al confronto tra approccio della Consulenza filosofica e approccio psicologico sia particolarmente approfondita e degna di considerazione.
Per Lahav, uno degli elementi centrali della Consulenza filosofica è il principio dell’ interpretazione della visione del mondo del consultante: tale visione non è da intendersi come qualcosa che è nella mente della persona o che influenza direttamente gli eventi concreti. Essa piuttosto, “è uno schema astratto che interpreta la struttura e le implicazioni filosofiche della concezione che un individuo ha di se stesso e della realtà” .
Secondo Lahav, tutte le persone “interpretano costantemente il loro mondo, non semplicemente attraverso credenze e pensieri, ma attraverso il loro ‘intero modo di essere’, attraverso il loro esprimere ‘una certa comprensione della natura del sè, di quello che è importante, morale, bello, di quello che sono l’amore, l’amicizia, il coraggio e così via” . Nei suoi ultimi scritti e articoli, Lahav sottolinea la necessità di operare un ripensamento critico nella pratica della Consulenza filosofica. Se, infatti, la consulenza vuole essere filosofica non solo di nome ma anche di fatto deve essere in grado di rinunciare ad ogni ruolo accomodante: invece di “adattarsi alla domanda di mercato”, di fornire cioè risposte e soluzioni ad hoc ai problemi della gente, deve fare quasi l’esatto opposto. Ossia “suscitare l’insoddisfazione intellettuale ed esistenziale […]. Evocare perplessità e timore […]; incoraggiare un approccio all’infinita complessità e ricchezza della vita” . Secondo Lahav, la filosofia deve fungere da coscienza critica della società, e non certo da “ennesima rotella dell’ingranaggio sociale” ; del resto, se così fosse, il consulente filosofico, in quanto “fornitore di beni”, non sarebbe molto dissimile dallo psicoterapeuta o da un qualsiasi “intrattenitore che mira ad appagare la voglia di divertirsi, o come lo spacciatore di droga che vende pillole ‘ansiolitiche’ per far sentire meglio la gente, o il chirurgo plastico che cambia i nasi delle persone per soddisfare un certo narcisismo, o ancora il mobiliere che vende pezzi d’arredamento per venire incontro alle esigenze di comfort”.
Per Lahav la svolta della Consulenza filosofica potrebbe essere in direzione di una concezione platonica, ossia verso una “filosofia contemplativa”: "la pratica filosofica, il filosofare, è connessa al nostro intero essere. Essa risveglia in noi quel desiderio di andare oltre, verso un livello più profondo delle nostre cose quotidiane. Verso un qualche tipo di trasformazione che ci aprirà a un mondo più grande fuori della caverna o, se preferite, alla luce” .
Un’altra consulente israeliana, molto nota a livello internazionale, è Ora Gruengard.
Per la Gruengard la consulenza filosofica assolve al suo ruolo quando si pone come filosofia critica. Il consulente è da intendersi dunque come un filosofo critico e anti-dogmatico in grado “di lasciare spazio alla perplessità o, perfino, all’inspiegabile, all’indeterminato, all’impredicabile” . Ma questo è possibile solo rinunciando alla pretesa del sapere e a quella dose di certezza garantita dalla conoscenza esatta per far posto all’accettazione della propria fallibilità. In questo senso, il consulente filosofico eredita da Socrate non solo la coscienza di non sapere ma anche l’accettazione di questo non sapere. Come la stessa Gruengard ha ricordato nel suo intervento alla Sesta Conferenza Internazionale sulle Pratiche Filosofiche tenutasi ad Oslo nel luglio 2001: “Socrate era un ignorante come tanti altri, ma l’unico che pensasse di essere tale. Noi dovremmo prendere seriamente il suo coraggio di tollerare l’ignoranza. Non che egli non sperasse di imbattersi in qualche solida verità, ma impiegò piuttosto la sua vita in una lotta critica contro false credenze ed ingiustificati diritti nei confronti del sapere. Ciò dovrebbe illuminare ogni counseling filosofico che si riconosce come effettivamente critico. Così, lo stesso consulente filosofico ‘critico’ dovrebbe forse dotarsi di un termine più adeguato, e sicuramente più modesto, per indicare sé stesso e la propria attività” . In poche parole, se si dovesse trovare un motto per il consulente filosofico critico, questo motto sarebbe: “non è necessariamente così”, ossia non è detto che A sia sempre diverso da B o che quello che si crede sia la verità, lo sia a tutti gli effetti.
Da "La Consulenza filosofica: storia e modelli", Maria Devigili, Trento, 2007
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