Considerazioni preliminari

Innanzitutto, è bene precisare che non sono una consulente filosofica o una sedicente tale (purtroppo, esiste anche questa categoria). L'obiettivo di questo blog è quello di fornire alcune informazioni di base sul mondo della Consulenza filosofica. Ho avuto modo di svolgere delle ricerche sulle pratiche filosofiche e, in particolare, sulla consulenza: il frutto di queste ricerche è la mia tesi di laurea. Credo che esistano molti luoghi comuni sulla Consulenza filosofica, probabilmente legati a quelli sulla Filosofia, spesso originati dalla superficialità con cui essa viene presentata. Non pretendo di dissolvere completamente i vostri dubbi ma semplicemente di costruire una sorta di "spazio neutro"; sia ben chiaro, la neutralità assoluta non esiste, ognuno parte da supposizioni e, in effetti, io ho una mia precisa idea della consulenza filosofica. Semplicemente, non sono una consulente filosofica, non ho nessun servizio da offrire, non devo convincere nessuno della bontà della mia missione.

lunedì 19 novembre 2007

LE ORIGINI: GERMANIA E AUSTRIA

Sulla scorta dell’iniziativa di Achenbach, in Germania si è assistito ad una rapida fioritura di esperienze analoghe, dall’apertura di studi professionali alla pubblicazione di libri sull’argomento. Nel giro di qualche anno, la pratica si è estesa in Olanda, Norvegia, Israele, Inghilterra e in altre nazioni europee, solo successivamente, negli anni Novanta, è approdata in USA e Canada.
Va rilevato subito il fatto che, come succede assai sovente per tutte le nuove discipline e professioni, specie se queste sono caratterizzate da una certa apertura di fondo, non sono mancati i fraintendimenti della materia, soprattutto nel senso di una commistione, spesso superficiale, con le pratiche orientali o con le psicoterapie.
Ad esempio, per Steffen Graege, consulente filosofico ad Amburgo a partire dal 1983, la Philosophisce Praxis può comprendere “l’uso accessorio di metodi più propriamente psicoterapeutici come le libere associazioni, l’interpretazione dei sogni, la meditazione, il rilassamento, fino a trattamenti psicofisici quali lo yoga e il tai-chi”.
[1]
Il sociologo Alexandre Dill invece, il cui studio rimase aperto dal 1984 al 1990 a Berlino e, in quanto stipendiato dall’amministazione pubblica, può essere ricordato come uno dei primi consulenti filosofici “non commerciali”[2], considera la Philosophische Praxis come una forma di “amore per il dialogo”, un’attività senza significato e senza alcuna finalità pratica.
Per Dill, che s’ispira fortemente alla filosofia orientale e in particolare alla pratica zen del kōan
[3], il dialogo socratico non è un dialogo autentico in quanto mira a ottenere, a una data domanda, una data risposta. Come scrive la Schuster: “Le intenzioni che stanno alla base della pratica di Dill sono paradossali: la negazione delle negazioni. Dill considera le nozioni di sé come altrettante facce del culto dell’identità occidentale, cioè l’io o l’egocentrismo di molte teorie psicologiche”.[4]
Il suo libro intitolato Philosophische Praxis uscito nel 1990, il primo testo monografico sull’argomento, è stato criticato duramente da molti membri dell’associazione tedesca della Philosophisce Praxis, per la presunta mancanza di contenuti filosofici.
[5]
Tutt’altra visione quella di Günther Witzany che, nel 1985, apre il primo studio di Consulenza filosofica in Austria. Witzany, facendo suo l’insegnamento di Habermas e Apel e dell’etica della responsabilità di Jonas, assegna alla Philosophische Praxis un compito ben preciso: da una parte, quello di fornire informazioni sulle possibili conseguenze di un uso sconsiderato della tecnica, dall’altra quello di formare individui in armonia con la natura e consapevoli del proprio agire nei confronti del mondo. Ma una tale concezione, per quanto teoricamente fondata, si discosta enormemente dall’ideale achenbachiano di dialogo filosofico aperto e non pre-determinato. Per Achenbach, il consulente deve essere in grado di mettere in discussione se stesso, le sue conoscenze e le sue convinzioni: deve mantenersi quindi perennemente aperto alla comprensione dell’ospite, e per farlo, deve abbandonare tutte le sue “griglie mentali”.
Nel vasto panorama tedesco, una figura particolarmente interessante è senz’altro quella di Eckart Ruschmann: sovvenzionato da una borsa di ricerca annuale dell’Università di Costanza, ha potuto intraprendere uno dei primi studi seri e approfonditi sulla Consulenza filosofica. Le ricerche e le riflessioni di Ruschmann hanno trovato forma nell’opera Philosophische Beratung
[6].
Il suo libro, uscito in Germania nel 1999, è stato subito salutato come uno dei più dettagliati contributi alla fondazione teoretico-riflessiva della disciplina.
Bisogna aggiungere il fatto che la riflessione di Ruschmann risulta particolarmente significativa anche grazie alla sua precedente esperienza in qualità di counselour psicologico ad orientamento umanistico. Probabilmente, anche per coerenza rispetto al suo percorso professionale, nel suo pensiero è assente la critica achenbachiana all’approccio psicoanalitico e al modello terapeutico: molto semplicemente, egli considera la Consulenza filosofica come un tipo di consulenza professionale, distinta ma non certo contrapposta alla psicoterapia
[7].
Ruschmann, inoltre, non manca di sottolineare come i consulenti filosofici, nella loro critica al modello medico-diagnostico, tendano a utilizzare i termini “psicoterapia” e “psicoanalisi” in maniera quasi interscambiabile. Questo, nonostante si siano sviluppate, dopo la morte di Freud e dei suoi successori, diversi modi di intendere la psicoanalisi con la conseguente articolazione di diversi tipi di psicoterapia, spesso anche molto distanti dalla teoria freudiana
[8]. Ma per Ruschmann non solo è necessario chiarire questa distinzione: nella formazione alla Consulenza filosofica dovrebbe essere comunque sempre presente lo studio della psicologia clinica e diagnostica, “in assenza della quale l’esercizio dell’attività di consulenza è definito critico”, se non pericoloso[9].
Per il consulente tedesco l’operato della Consulenza filosofica è equiparabile a un lavoro di “interpretazione e ricostruzione della visione della realtà del cliente” capace di porre le basi per una “modificazione del rapporto con sé e con il mondo”
[10] ; due sono gli elementi basilari nella teoria della Consulenza filosofica: un modello strutturale dei rapporti psichici, da cui non si può prescindere, e una teoria del comprendere. Per Ruschmann, la filosofia ha finito per concentrarsi solo sui concetti e le astrazioni del pensiero cosiddetto “puro”, con il risultato di trascurare altri aspetti non meno importanti, come gli stati d’animo e le emozioni, troppo spesso relegati all’ambito di un generico”sentire”.
Egli intende così dare forma a un modello empatico capace di considerare l’individuo nella sua globalità. Questo modello deve essere in grado di considerare anche “il ruolo degli aspetti intellettivi sul comportamento degli individui, troppo spesso marginalizzati dagli approcci psicologico-emozionali”
[11].
La dimensione valoriale, inoltre, gioca spesso un ruolo determinante nell’esistenza individuale: sono i valori, infatti, che decidono “quali impulsi debbano venir realizzati e quali no”. Lo scollamento tra il sapere e l’agire, tra i valori più profondi dell’individuo e i suoi comportamenti può portare a un forte disagio esistenziale, che Ruschmann assimila a uno stato di “fondamentale alienazione”. Questo può avvenire quando si assumono in modo passivo valori provenienti dall’esterno (ruoli sociali, norme ecc.), magari per consuetudine, conformismo e convenienza sociale. Per questo motivo nella Consulenza filosofica l’etica assume un ruolo di primo piano: Ruschmann denomina la capacità etica (Ethische Kőnnen) come “l’attitudine a fronteggiare in modo adeguato situazioni problematiche, mantenendo in stretta unità sapere e agire”
[12].
In particolare, la Ethische Kőnnen si basa sul presupposto “che i propri principi etici siano esplicitamente coscienti e ripetutamente studiati e provati, e contemporaneamente che la percezione e il corrispondente sentimento siano, in situazioni concrete, precisamente commisurati”.
Oltre a quella di etica, un’altra nozione centrale nella riflessione di Ruschmann sulla Consulenza filosofica, è quella di saggezza che egli denomina come una forma di sapere acquisibile solo con l’esperienza e che consiste nell’ ”avere piena consapevolezza delle proprie reazioni nei confronti del partner dialogico” e nell’essere in grado di bilanciare “le spesso contrastanti valenze di cognizione, affetto e volontà”
[13].
(foto1: Alexandre Dill; foto2: Günther Witzany; foto3: Eckart Ruschmann)



[1] Cfr. N. Pollastri, Il pensiero e la vita, p. 55
[2] Ivi. p. 56
[3] Il kōan è una frase paradossale o un problema la cui soluzione non può essere logica
[4] Cfr. S. Schuster, La pratica filosofica, cit., p. 53
[5] Ivi, p. 54
[6] E. Ruschmann, Philosophische Beratung, Kohlhammer, Stuttgart 1999. Attualmente, In Italia, è disponibile solo la traduzione della prima parte dell’opera con il titolo Consulenza filosofica, , Armando Siciliano Editore, Messina 2004 con un’accurata nota introduttiva dal titolo La consulenza filosofica nell’orizzonte di senso della filosofia pratica, Introduzione a Eckart Ruschmann a cura di Rosaria Longo.
[7] M. Zonza, Eckart Ruschmann, Consulenza filosofica, in “Phronesis”, 5, 2005, p.58
[8] P. B. Raabe, Teoria e pratica della consulenza filosofica, Apogeo, Milano, 2006, p. 91
[9] Cfr. M. Zonza, Eckart Ruschmann, Consulenza filosofica, in “Phronesis”, 5, 2005, p.61
[10] E. Ruschmann, Philosophische Beratung, Kohlhammer, Stüttgart, cit. in N. Pollastri, Il pensiero e la vita, p. 80 e sgg, 1999, p. 33
[11] Tutte le citazioni di Eckart Ruschmann sono tratte da N. Pollastri, Il pensiero e la vita, pp. 80-84
[12] Ivi, p. 81
[13] Ivi, p. 84

Da "La Consulenza filosofica: storia e modelli", Maria Devigili, Trento, 2007)

Nessun commento: